Volevo essere una gatta morta – la recensione

Volevo essere una gatta morta è il romanzo d’esordio della scrittrice italiana  Chiara Moscardelli.

Attualmente, i quattro romanzi scritti da Chiara Moscardelli sono:

  • Volevo essere una gatta morta (Einaudi, 2011- Nuova ed. Giunti, 2016)
  • La vita non è un film, Torino (Einaudi, 2013)
  • Quando meno te lo aspetti (Giunti, 2015)
  • Volevo solo andare a letto presto (Giunti 2016)

Trama

Chiara è una ragazza sfigata da tutti i punti di vista: relazioni sentimentali, lavoro, studio, viaggi, salute… e chi più ne ha più ne metta. Ha una sola fortuna: degli amici che, anche se strampalati e inconcludenti, ci sono sempre. E la sostengono nel loro modo genuino e traballante. La nostra eroina compie un vero e proprio percorso a ostacoli, partendo da un parto podalico e arrivando ad una stanza di ospedale (che in realtà è la location dell’incipit del romanzo), passando per interrail, primi baci, dinamiche liceali, esami universitari, impieghi impossibili e relazioni catastrofiche, non per forza in questo ordine.

Recensione ★★★☆☆ (3/5)

Fin dalle prime pagine sembra di trovarsi di fronte ad un romanzo autobiografico dalla carica comica effervescente. Non ci sono filtri letterari, la protagonista si riferisce direttamente al lettore, spesso facendo riferimento al fatto che sta proprio scrivendo il libro che il suo interlocutore sta leggendo in quell’istante. Poi piano piano la sfiga allucinante della protagonista la rende via via sempre meno credibile e sempre più caricaturale, e ci fa abbandonare il pensiero che quelli possano essere davvero stralci di vita vissuta. L’incipit è davvero accattivante: un argomento molto pesante trattato con toni semplici, brillanti e divertenti accresce il fascino già innescato dalla scrittura. Poi l’autrice decide di farci fare un salto indietro nel tempo, quasi a voler dimostrare che quella è solo la punta dell’iceberg di una sfiga radicata e senza scrupoli. Chiara si paragona a Bridget Jones ma in realtà la carica comica che acquisisce si avvicina molto di più alle dinamiche del clown fantozziano, che all’inizio fa ridere ma ad un certo punto ci fa anche provare amara pietà per questa povera ragazza. Dalla metà del romanzo in poi ci si arrende a questa incredibile sfortuna tanto da non sorprenderci più: in ogni istante sappiamo esattamente come andrà: male.

La mia impressione è che l’aspetto del clown, un po’ troppo esasperato e poco credibile, porti inevitabilmente ad un cliché troppo prevedibile. Ho invece adorato le parti in cui racconta le impressioni della protagonista (che forse coincidono con quelle dell’autrice?) sui vari aspetti della vita, il suo approccio alle dinamiche esistenziali: in particolare il paragrafo sulle gatte morte, circa a metà, l’ho trovato geniale. Come molto acute e profonde sono alcune delle osservazioni di Chiara, una fra tutte:

Quello che non abbiamo riesce sempre a rovinare quello che abbiamo, e io non voglio più commettere questo errore.

È un concetto che mi risuona perfettamente, a me che non basta mai niente, che non riesco a godermi i successi della vita perché sono troppo concentrata sugli obiettivi che ancora devo raggiungere.

Il risultato finale è un romanzo con una carica comica pronunciata (e spesso forzata), che tiene compagnia e fa riflettere, fa rabbia, fa ridere e pensare.

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